il dolore è un'opinione del cervello. Questo dice Ramachandran (neuroscienziato indiano, meglio conosciuto per il suo lavoro nei campi delle neuroscienze del comportamento).
Quella che può sembrare un'offesa per tutti coloro che soffrono di una condizione dolorosa cronica è una probabile verità che offre una spiegazione plausibile a numerosi fenomeni che sia i pazienti sia i clinici coinvolti nel dolore sperimentano e offre inoltre spunto per approcci moderni al trattamento del dolore cronico.
Ciò che Ramachandran (e altri) intende é che la percezione dolorosa è frutto di una stima che il cervello fa della minaccia che i segnali sensitivi che riceve possono rappresentare in base alle informazioni che dispone in quel momento e delle sue precedenti esperienze.
Questo modello si basa su un metodo inferenziale detto Bayesiano
Cercando di rendere molto semplice un concetto (a mio avviso) poco intuitivo, il razionale dietro all'idea del cervello bayesiano è che le informazioni che provengono da più sensi vengono combinate e, basandosi sul livello di precisione delle informazioni ricevute e sulle sue precedenti esperienze (priors), il cervello fa una stima della minaccia che tali informazioni rappresentano.
Numerosi studi (Moseley, 2007; Anchisi, 2015; Moseley, 2015) mostrano che è il livello di minaccia percepito e non il danno tissutale a modellare l'esperienza dolorosa (soprattutto nelle condizioni croniche)
Questo significa che la sola nocicezione non è necessaria nè sufficiente a creare l'esperienza dolorosa (Moseley); vi possono essere danni tissutali (artrosi, discopatie, lesioni tendinee) senza che vi sia alcun dolore, così come vi può essere un dolore molto disabilitante senza alcun danno riscontrabile (fibromialgia, sindrome da dolore cronico, CPRS,...)
Secondo la logica Bayesiana modellare i prior (contesto, credenze, aspettative) permette di modulare la percezione di dolore.
Quindi aumentare la sicurezza nel paziente (safety in me, SIM; David Butler e Tim Cocks) aumentando il livello di self efficacy, riducendo la chinesifobia e la catastrofizzazione, modificando le credenze errate e favorendo delle migliori ma ragionevoli aspettative, permette di modulare la percezione dolorosa.
Per contro favorire credenze errate, basate sulla presenza di un danno come causa del dolore (disco degenerato, alterata postura, errato modo di muoversi,...) aumenta il DIM (danger in me), favorendo l'aumento della percezione dolorsa.
Come possono le terapie manuali intervenire in un'ottica Bayesiana?
Innanzitutto evitando di favorire il DIM con spiegazioni fantasiose circa l'origine biomeccanica del dolore (posture, disfunzioni, errati schemi motori,...), ma stimolando una maggiore percezione di sicurezza e di resilienza (attraverso l'educazione alla neurofisiologia del dolore, attraverso la modifica di comportamenti predisponenti (evitamento o persistenza), attraverso la progressiva introduzione di un approccio più attivo (graded exposure) )
Le terapie manuali hanno poi un dimostato effetto ipoalgesico (Bialosky, 2009; 2017; 2018), questo permette di modulare l'esperienza dolorosa e creare una violazione nell'aspettativa
Mostrare al paziente che dopo la terapia manuale i movimenti che prima erano dolorosi non lo sono più (o lo sono meno), crea dell'imprecisione (errore predittivo) e questo a sua volta modifica i priors. Questo permette al cervello di predirre la realtà in modo meno protettivo (aumento del SIM) e di favorire l'introduzione dell'approccio attivo con minor apprensione e maggiori risultati terapeutici
-Placebo Analgesia: A Predictive Coding Perspective; DOI: 10.1016/j.neuron.2014.02.042
-Symptom perception, placebo effects, and the Bayesian brain; Giulio Ongaro, 2019
-Pain: A Statistical Account.PLoS Comput Biol 13(1): e1005142. doi:10.1371/
journal.pcbi.1005142
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